Intervista esclusiva

Con oltre quindici anni di carriera, Daniele Santamaria Maurizio si racconta in questa intervista ripercorrendo le origini della sua passione, nate per caso alla RAI con Enzo De Pasquale, fino alla costruzione di un cinema che non si limita a mostrare immagini, ma dà identità e anima alle storie. Dal metodo creativo alla ricerca costante di autenticità, dal rapporto esigente con attori e troupe fino all’impegno civile nel raccontare pagine dolorose della storia italiana, il regista rivela il suo approccio rigoroso e appassionato. Tra premi, riconoscimenti e nuovi progetti, emerge la visione di un autore che vive il cinema come responsabilità, sfida e, soprattutto, come necessità di verità.

  1. Le origini della passione

La sua carriera comincia nel 1987 come assistente regista alla RAI: che ricordo porta con sé di quell’esperienza e cosa ha imparato da Enzo De Pasquale?

Fu un’esperienza bellissima, nata quasi per caso: mi trovavo a Capo Palinuro e lì Enzo, come ogni estate a Ferragosto, girava La notte del Mito. Fu lui a farmi innamorare della macchina da presa.

Quando ha capito che il cinema sarebbe stato più di una passione, ma la sua vita?

Quando, dopo aver incontrato Fabrizio Caleffi, scrissi e diressi il mio primo mediometraggio CALL ME NOBODY, con lo pseudonimo di Mikey Capo. Fu Enzo De Pasquale a suggerirmi di adottarlo, a causa del mio doppio cognome.

  1. Il metodo creativo

Lei dice che un film non è un insieme di fotogrammi ma deve possedere un’identità: come nasce questa identità e in che modo la costruisce?

Senza un’identità precisa il film non ha un’anima. Quest’anima si costruisce prima di tutto con la scrittura — soggetto e trattamento — e poi lo devi immaginare nella tua mente, prima ancora di andare sul set per crearlo.

In quali momenti decide di modificare o stravolgere la sceneggiatura? Può raccontarci un episodio in cui ha seguito il suo istinto creativo invece del copione?

La sceneggiatura è l’ossatura del film: un regista deve condividerla con lo sceneggiatore e, se necessario, apportare modifiche anche prima di girare. Nel mio caso, se una scena, pur scritta correttamente, non mi convince mentre la giro, la modifico o la riscrivo come la sento, assumendomi la totale responsabilità con il produttore.

Sul set di Bologna 2 agosto – I giorni della collera apportai una modifica sostanziale: nell’imminenza dello scoppio della bomba, decisi che l’ordigno esplodesse mentre l’attrice, dopo aver concluso la telefonata, risaliva al piano terra della stazione. Aveva, dal mio punto di vista, un impatto diverso sullo spettatore.

  1. La Trilogia del Male

Con Lati Oscuri, E Liberaci dal Male e Romanzo di un Mostro ha costruito una trilogia intensa e complessa. Perché ha scelto proprio questi temi oscuri e controversi?

Perché rappresentano un cinema a sfondo sociale. Essendo anche autore dei soggetti, racconto l’eterno conflitto tra il bene e il male, dove la verità ci rende sempre liberi.

Qual è stato il capitolo più difficile da girare e perché?

Sicuramente il primo capitolo, Lati Oscuri. Girai fino alle quattro del mattino in un grottino a Bassiano (LT) un rituale satanico. Dovetti rassicurare comparse, figurazioni e troupe sul fatto che, pur essendo una scena complessa, l’avremmo realizzata solo dal punto di vista filmico-narrativo, così come l’avevo scritta e pensata.

Cosa spera che il pubblico colga al di là della cronaca nera?

Il pubblico deve cogliere l’essenza dei fatti narrati e comprenderne le conseguenze. Solo così lo spettatore può analizzare sé stesso e i propri comportamenti di fronte a realtà drammatiche.

Aggiungo che le scene erotiche — mai volgari — che inserisco nei miei lavori hanno la funzione di dare respiro alla sequenza filmica, offrendo al pubblico un momento di armonia con il contesto narrativo.

  1. Il rapporto con gli attori e la fotografia

Ha dichiarato di essere molto esigente con direttore della fotografia e attori: quanto conta la pignoleria in regia?

La pignoleria fa parte del mio carattere. Sono tra i primi ad arrivare sul set e l’ultimo ad andarmene. Pretendo altrettanta precisione dalle maestranze, in particolare dall’aiuto regista e dagli assistenti. La costruzione di un film è come quella di una casa: non puoi sbagliare nulla, dalle fondamenta al tetto.

Con il direttore della fotografia come si rapporta?

Cerco sempre un confronto costruttivo, ma se dissente… alla fine si fa come dico io.

Preferisce dirigere attori esperti o giovani interpreti da plasmare?

Non ho preferenze: mi piace scoprire nuovi talenti. Guardo poco i curriculum, voglio essere colpito dalla loro credibilità in scena. Mi dedico molto alla direzione attoriale e ascolto le impressioni degli attori. Sanno tutti che sono esigente, perché lo sono anche con me stesso. L’importante è che, anche se non si fa centro, tutti abbiano dato il massimo al film.

  1. Il cinema e la memoria storica

Con Bologna 2 Agosto… I Giorni della Collera ha riportato sullo schermo una pagina dolorosa della storia italiana. Che responsabilità sente quando lavora su vicende realmente accadute?

Quel fatto sconvolse la mia sensibilità. Lottavo tra mia madre, che si opponeva a farmi vedere quelle immagini (avevo 16 anni), e il mio istinto di voler capire il perché di tanta violenza.

Scrissi quel film dopo aver letto centinaia di atti processuali e riprodussi la verità processuale delle sentenze, aggiungendo però libertà filmiche tipiche della fiction. Non volevo un docufilm, ma un action movie. Ricevetti il benestare di Giorgio Molteni, da cui appresi moltissimo e che ringrazio ancora oggi.

Crede che il cinema debba avere anche un ruolo civile, oltre che artistico?

Sì. Credo che il cinema debba interrogare le persone in modo autonomo, senza essere didascalico. Un film può suscitare dubbi, paure, ma anche consolidare certezze. Quello che non deve mai essere è sterile o insignificante.

  1. Premi e riconoscimenti

Il suo 11° Comandamento – Non deviare è stato premiato più volte, anche dalla RAI: quanto sono importanti per lei i riconoscimenti?

Sono importanti, perché se vinci un premio significa che il tuo film è piaciuto.

C’è un premio o una proiezione che ricorda con particolare emozione?

Sì. Ricordo che il cortometraggio 11° Comandamento, con protagonista Nadia Bengala, ricevette molti premi, tra cui quello alla regia deciso da una giuria popolare.

Se non vinci, però, devi ricordare che il vero giudice sarà sempre la sala o la piattaforma che distribuirà il film.

  1. Visione e futuro

Se dovesse descrivere il suo cinema con tre parole, quali userebbe?

Atmosfera inquietante. Un noir in grande stile.

Su cosa sta lavorando ora e quali progetti sogna di realizzare nei prossimi anni?

Sto lavorando a una serie televisiva di 10 episodi e a un lungometraggio per le sale, ispirato a un fatto di cronaca che sconvolse la Capitale diversi anni fa.

Che consiglio darebbe a un giovane che sogna di diventare regista?

Di studiare: le basi della scrittura e della regia non sono frutto di improvvisazione. Di fare esperienza sul set come aiuto o assistente regista e, soprattutto, di sviluppare un proprio stile autonomo che sia espressione della propria fantasia e creatività.

a cura di : Lorena Fantauzzi
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